Lombardo Lucrezia
Il nido dei gruccioni
Io sono appartenuta a questi luoghi
che poi ho abbandonato
Era
il candido manto delle nubi
sopra di te
e il maggio di voci
nel celeste darsi degli spazi aerei,
nei frammenti di cuore
che avevi lasciato sul portico
dei glicini.
Luce di vero
ti minaccia la semplicità del canto
nelle primavere di loro vite,
si dà nella distesa erbosa,
nella gioia del volo
di uccelli migratori
danzanti estati dei padri
e dei padri dei loro padri,
ma di lassù
incombe il noncolore
e cela i suoni di festa
come una madre gelosa
i figli.
Tu vaghi tra i ruderi
aprendo
vuote porte.
Saluto al giorno
Salutano il giorno
dei di luce,
solari affilati
inni di acerba giovinezza
-tengono nell’ali l’unità
della natura-
e tutto è compiutezza:
lo schiudersi dell’alba,
l’istante esatto in cui le stelle
svaniscono
e con esse
i neri abitatori del sogno…
Gli eletti sui rami
cantano e
la gioia mischia le sostanze,
partorisce intrecci di musiche
nel linguaggio dei profumi del mattino.
È gratitudine d’immenso darsi,
euforia d’esserci,
compiutezza nell’odore,
nel movimento, nell’immersione
del giorno di pane che sfama
e leggere e informi
le nubi si uniscono
al non avere dei cardellini,
alla commozione dei gigli
e dei papaveri, estesi, nudi,
adagiati nel calore dei campi,
tutti intenti a mostrare il loro tempo
di vita
in una danza immobile
che fa sobbalzare gli interrogativi:
privi di tutto fuorché dell’aversi,
spogli d’ogni cosa fuorché del consacrarsi.